Emily in Paris è arrivata alla quarta stagione, più nello
specifico alla sua prima parte. Nonostante io sia sempre stata una grande fan
della serie, ho dovuto ammettere le mancanze di questi nuovi episodi, che sono
stati un po’ deludenti, soprattutto sotto determinati aspetti. Se i lati
negativi, il più delle volte, sembrano avere la meglio su tutto ciò che di
buono c’è o c’è stato prima di essi, io ho deciso di non farmi condizionare da
essi e di ripartire dall’inizio, per ricordare che, nonostante questi problemi
(che comunque sono da evidenziare e risolvere), ci sono lati positivi che chiedono
di non essere dimenticati. La mia recensione è senza spoiler.
Emily in Paris è leggerezza, spensieratezza, eccentricità,
con elementi no sense e rappresentazioni stereotipate che in fin dei conti sono
quelle che l’hanno resa iconica. Ci ha conquistato anche per questo, almeno
fino ad oggi.
Andiamo con ordine.
Emily in Paris ci piace perché è leggera,
perfetta per distrarsi o ammazzare il tempo, perfetta se sei triste o sei
felice, se fa caldo o freddo, se piove o c’è il sole (ma io dico che è più una
serie da periodo estivo). È stravagante, buffa, spesso irrealistica e per
questo ci fa anche ridere.
È una serie con una grande attenzione ai dettagli, di
qualsiasi genere. Per quanto riguarda gli outfit, Marilyn Fitoussi, la
costume designer, dice di aver reso omaggio “a Audrey Hepburn, alla Nouvelle
Vague, al cinema francese e alle icone della musica pop francese”. Noi ci
fidiamo, anche se non abbiamo mai visto qualcuno vestito in quel modo a Parigi
o nel resto del mondo. Outfit rigorosamente eccentrici, che indossarli nella
vita reale sarebbe per lo più improponibile, ma che in fondo, nel contesto della
serie, funzionano proprio per la loro audacia e per la capacità di esprimere la
personalità dei personaggi. Io un guardaroba così lo vorrei, anche se non
potrei mai indossarlo.
Poi ci sono le location: ristoranti, cafè, teatri, musei,
uffici, abitazioni e chi più ne ha più ne metta. Le immagini di Parigi e della
Francia, dei luoghi storici, di quelli culturali e di quelli caratteristici, ci
meravigliano con la loro bellezza e ci fanno fare un tuffo nella storia.
Le inquadrature sono sempre quelle giuste, quelle che sanno
cogliere gli scorci più belli e significativi, tanto da rendere ogni scena un
quadro da ammirare.
Emily, intanto, non ha ancora imparato il francese, ma in
questa prima parte della quarta stagione i dialoghi in francese - degli altri
personaggi- aumentano, il che conferma innanzitutto che la Francia non vuole
essere solo sfondo e poi che siamo ormai sempre più parte di questo mondo
straniero che conosciamo - attraverso lo schermo - da quattro anni.
Le relazioni raccontate sono complicate, anche tossiche, ma
noi le guardiamo fingendo che non sia tutto eccessivo o sbagliato o assurdo.
Insomma, questa serie, forse, ci ha reso stupidi e ciechi, un po’ come appena
innamorati, ma noi, fino ad ora, ne siamo andati fieri.
A questo punto, però, dopo tre stagioni in cui abbiamo
accettato e amato di tutto, come nella prima fase di un innamoramento in cui
vedi solo i lati positivi e tutto è idealizzato, inizia il risveglio della
coscienza. Il confronto con la realtà.
Se una serie tv deve raccontare una storia, ci si inizia a
chiedere dove sia finita quella di Emily in Paris. Perché è ormai chiaro che la
trama non esiste più. Che la storia è ferma dov’era, sempre uguale, sempre
dietro alle stesse questioni, trattate sempre allo stesso modo.
THAT’S AMORE?
Gli intrighi amorosi, ormai, sono un mix tra fantascienza,
horror e comicità scadente. Si fa per dire, ovvio. I ménage “à trois, a quatre
e a cinq” ti catapultano direttamente in un sogno allucinogeno da cui speri di
svegliarti dimenticando. Stai sicuro, però, che il prossimo love interest è dietro l’angolo e non
sarà l’ultimo.
La questione sentimentale, che a mio avviso già era la parte meno interessante e che più lasciava perplessi, è stata esasperata ed ha preso il sopravvento, diventando esasperante. Se proprio devo dirlo, è diventata una pagliacciata.
Non siamo neanche più di fronte ad una scelta tra team-Gabriel o team-Alfie (almeno per quanto riguarda Emily), come tutti sembrano ancora ingenuamente commentare, ma di fronte ad un qualcosa che ormai è fuori controllo e che stride chiamare amore. Non è amore, è una sostituzione continua. È la morte dei sentimenti di fronte alle dichiarazioni smentite dalle azioni il giorno successivo. Mentre ci si dichiara ad uno e si passa ad un altro, secondo un circolo vizioso che, a quanto pare, non avrà mai fine, i sentimenti - quelli veri - non esistono più, perché sacrificati secondo convenienza e circostanze.
Eppure io ricordo che
Shakespeare diceva: “Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento o
tende a svanire quando l'altro s'allontana”. Perché scegliere con chi stare in
base a chi è disponibile in un determinato momento non è amore ma una scelta di
convenienza. Allora io non so se Emily in Paris voglia parlare effettivamente
di amore, ma sicuramente ci ricorda molti rapporti di oggi, non volendo però
mostrarne una risoluzione positiva o semplicemente degna di chi è ancora sano
di mente.
Che poi, tra tutti, Alfie è forse il personaggio più normale
e forse autentico nella gestione ed espressione dei suoi sentimenti,
all’interno di questa serie, ma è anche quello più noioso. Qualcuno doveva
dirlo.
LE TEMATICHE SERIE
In questo disastroso e inconcludente passaggio da una cosa
inutile all’altra e da una persona all’altra, in questa stagione arriva anche
la tematica seria, quella delle molestie. Ammirevole voler parlare di argomenti
così seri e sempre attuali, il problema è che vengono buttati lì, un po’ a
caso, e trattati con superficialità, mentre il resto della trama si perde nel
trascurabile. Gli autori dovrebbero davvero decidere una volta per tutte cosa
vogliono raccontarci.
L’ULTIMO SOPRAVVISSUTO
Insomma, in questa serie che propone una Francia cliché, una
americana che non si scompone né si dispera di fronte ai suoi disastri
sentimentali (io ormai sono senza parole) e in quella che è ormai la serie
vetrina per i brand, regina del marketing, con intrighi amorosi fuori controllo
e neanche più interessanti, io spero ancora di rivedere quel qualcosa di buono
che tanto mi aveva appassionato. Per me, in questa ultima stagione, fino ad
ora, l’unico a salvarsi è Luc, il collega di Emily che ci ricorda quella vena
comica e stramba che tanto ci aveva fatto amare questa serie in passato.
COSA FAREMO?
Comunque, nonostante tutto, sono sicura che molti di noi continueranno a seguire questa serie, perché in fondo c’è qualcosa che ci attira, che ci diverte, che ci fa sentire leggeri. Perché in Emily e nei suoi problemi possiamo ancora rivederci (escludendo i tratti più inverosimili). Insomma, Emily continua a dover far fronte a problemi e situazioni complicate, pure se si trova nella città dell’amore, che è affascinante, piena di storia, di cultura, di bellezza e anche se veste con capi che noi comuni mortali non potremmo mai permetterci. Continueremo a seguirla e forse a sperare in un cambiamento, un po’ come accade con quelle brutte abitudini in cui giuriamo – inutilmente - di non ricadere più.
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