Buongiorno lettori e lettrici, oggi vi parlo di The Jasad Heir, libro d’esordio della scrittrice egizio-americana Sara Hashem e primo libro della dilogia The Scorched Throne, ispirata all’antico Egitto. Un fantasy che mi ha catturata fin dalla trama e che non ha deluso le aspettative.
Dieci anni fa, il Jasad fu dato alle fiamme. La sua magia fu
bandita. La famiglia reale assassinata. O almeno, questo è ciò che Sylvia vuole
che la gente crede. L’Erede del Jasad è in realtà scampata al massacro e
intende rimanere nascosta, soprattutto dall’esercito di Nizahl, che continua a
dare la caccia al suo popolo. Ma un momento di rabbia cambia tutto. Quando
Arin, l’Erede del Nizahl, insegue un gruppo di ribelli jasadi nel suo
villaggio, Sylvia rivela accidentalmente la sua magia e cattura così
l’attenzione. Ora l’Erede del Jasad, che tutti credono morta, è costretta a
fare un patto con il suo più grande nemico: aiutarlo a cacciare i ribelli in
cambio della vita. È l’inizio di un gioco mortale. Sylvia non può permettere
che Arin scopra la sua vera identità, anche se l’odio tra gli Eredi comincia a
trasformarsi in qualcosa di diverso. E mentre le maree cambiano intorno a loro,
Sylvia dovrà scegliere tra la vita che vuole e quella che ha abbandonato.
Recensione
Sylvia è l’unica sopravvissuta della famiglia reale del
Jasad, un regno che è stato dato alla fiamme e cancellato. La magia del regno è
considerata pericolosa e quindi è stata bandita, mentre i sopravvissuti sono fuggiti,
disperdendosi negli altri regni e celando la propria identità. Tutti credono
che la famiglia reale sia stata sterminata, invece Essiya (che ora si è data il
nome di Sylvia), l’Erede di quel Regno, è sopravvissuta al massacro di dieci
anni prima ed è decisa a continuare a nascondere la propria identità e a
sopravvivere come può. Quando incrocerà la strada di Arin, il temibile Erede
del Nizahl, e rivelerà la propria magia, contribuendo a far nascere dei dubbi
sulla propria identità, sarà costretta a collaborare con il nemico e aiutarlo a
dare la caccia ai ribelli del suo popolo in cambio della libertà. Prima di
potersi dire libera, dovrà anche allenarsi al fianco di Arin per essere il suo
Campione in un Torneo mortale che vede sfidare i Campioni dei vari regni. In tutto
questo, cercherà di non far trapelare i propri segreti, compreso quello sulla
sua identità. Nella strada verso la libertà, ad un certo punto, entreranno in
gioco anche pericolosi e inaspettati sentimenti.
The Jasad Heir racconta una storia più complessa di
quanto ci si aspetterebbe leggendo la trama. Si parla di un Regno dalle vicende
complicate, intriso di magia e distrutto per questo. C’è un popolo senza terra
che fugge dai persecutori che condannano la magia; c’è Sylvia, che è l’Erede
sopravvissuta ma che poco ricorda della sua infanzia nel regno e poco sa di ciò
che ha davvero determinato quel massacro. Sylvia, che ha vissuto una vita
durissima, senza una casa, senza affetti, lottando per sopravvivere e celando
la propria identità, che conosce solo una parte della storia del suo regno e
dei suoi nemici. Ci sono altri quattro regni con le loro tradizioni, le loro
storie e le loro interazioni. C’è un Torneo mortale che vede sfidarsi i
Campioni dei vari regni in nome di divinità che hanno deciso, un tempo, di
porsi in un sonno profondo per non creare danni con la loro magia. Ci sono due
gruppi di ribelli del Jasad che lottano per il loro regno perduto, ma seminando
caos e seguendo metodi e scopi diversi. In tutto questo c’è l’Erede del regno
del Nizahl, che è anche il Comandante dell’Esercito, che è spietato e che è
figlio dell’uomo che ha posto fine al Jasad. L’incontro tra Sylvia e Arin e ciò
che succederà dopo porteranno la storia lungo direzioni inaspettate, non solo
per loro stessi ma per tutti i regni.
The Jasad Heir è un libro che, proprio per la sua
complessità, che si svela strada facendo, dimostra di avere alle spalle un
grande studio e quindi di riuscire a prestare attenzione a tutti i dettagli.
Sono i dettagli, infatti, che rendono particolare, profonda e suggestiva questa
storia e che determinano la sua riuscita. Si sentono le vibes degli epic fantasy,
suggestioni di altre epoche e di terre lontane ed esotiche. Regni, divinità,
famiglie reali, eserciti, ribelli, pericoli, antiche guerre, sfide, sentimenti
e intrighi politici sono gli elementi che compongono questa storia e la rendono
accattivante.
Il worldbuilding è abbastanza complesso e le informazioni su
questo mondo vengono fornite lungo tutta la storia. In questo modo si riesce a
entrare in modo naturale e graduale al suo interno, mantenendo la curiosità e
l’interesse. Ciò che viene raccontato cela puntualmente dei risvolti ulteriori,
un non detto che riesce a intrigare il lettore e a trasmettere un alone di
mistero che perdura per tutta la storia e che pone in chi legge tanti
interrogativi.
In realtà, la scrittura dell’autrice risulta a tratti un po’
macchinosa e diventa necessario ritornare più volte sugli stessi punti; per
questo motivo, la comprensione ne risulta condizionata. Anche il worldbuilding, che è ricco, non riesce ad arrivare sempre e
per tutto in modo chiaro, perciò è difficile uscire dalla lettura con una
comprensione completa di tutto quello che si è detto su questo mondo e sulle
storie che cela. Nonostante questi aspetti, però, gli elementi che compongono
la trama e il modo in cui questa viene portata avanti riescono a funzionare e a
creare interesse, perciò le difficoltà vengono compensate.
La vera protagonista di questa storia è Sylvia, l’Erede del regno
distrutto del Jasad. Una ragazza di vent’anni che, dopo la distruzione della
sua famiglia e del suo regno, cerca semplicemente di vivere come può, sperando
di riuscire a celare la propria identità e a non avere troppi problemi. In
verità, Sylvia non è il suo vero nome, ma quello con cui finge di essere chi
non è. La sua vita è già stata costellata di drammi e di sfide importanti,
piena di sacrifici e sofferenza, di dolore e di rabbia. Ferita nel corpo e
nell’anima, Sylvia è una ragazza che non ama il contatto fisico, che non si
lascia mai toccare dai sentimenti e dall’affetto per qualcuno, che non si apre
agli altri e che cerca sempre di cavarsela da sola. Sylvia è astuta, diretta, a
volte brusca, si rimbocca le maniche e sicuramente non è una sprovveduta. Il
modo in cui viene raccontato il suo complicato vissuto, con le conseguenze sul
suo modo di essere e di vivere, danno spessore al suo personaggio, rendendolo
interessante e credibile. È interessante seguirla nelle sfide che deve
affrontare ed è interessante seguirla mentre cerca di capire chi è davvero,
cosa prova nel profondo e come può agire. È forte ma sa anche porsi delle
domande e imparerà a mettere in discussione il proprio essere e la propria
conoscenza.
Dovrà essere più astuta e più forte di chi la circonda, dovrà
lottare e cercare di vincere per avere la propria libertà. Perché la libertà è
l’unica cosa che cerca e per cui agisce. Lei, che non è mai stata libera, che è
sempre stata condizionata, plasmata e manipolata dagli altri, adesso vuole
essere libera di agire e vivere senza condizionamenti. Prima, però, dovrà
affrontare ulteriori sfide, ritrovare se stessa, riscoprire il suo passato e capire
cosa è successo davvero tra i regni. Sylvia, a differenza di altre eroine, è
imperfetta e fragile, sbaglia e deve imparare dai suoi errori, non ha interesse
a porsi come regina del suo regno e guida del suo popolo e per questo il suo
personaggio è ancora più verosimile e coerente.
Arin è il personaggio maschile che funge vagamente da
co-protagonista, anche se colei che domina la storia e narra in prima persona è
Sylvia. Arin è spietato, glaciale, controllato e scaltro. Studia i regni e i
propri nemici, riesce ad essere un passo avanti agli altri, a calcolare nel
dettaglio le proprie mosse e ad accorgersi delle bugie di Sylvia. Anche se
emerge meno della protagonista, il suo ruolo e il suo modo di essere lo rendono
interessante e gli conferiscono una certa rilevanza nella storia, per cui il
personaggio riesce ad arrivare in modo convincente. Sicuramente c’è altro da
scoprire su di lui.
Ciò che maggiormente mi ha colpito della storia è proprio il
rapporto tra Sylvia e Arin. L’autrice ci racconta di una storia enemies to lovers in cui questa dinamica
viene mostrata nella sua accezione più pura, passo dopo passo. I due personaggi appartengono a popoli che
sono nemici (lui dà la caccia ai jasadi, che devono quindi fuggire e celare la
propria identità) e a regni che si sono combattuti fino alla distruzione di uno
dei due. Sylvia e Arin appartengono a fazioni opposte, hanno dei pregiudizi reciproci
(quelli di due popoli che sono diventati nemici) ed effettivamente vengono
raccontati come nemici, senza lasciare il minimo dubbio sul fatto che lo siano.
Questo vuol dire che neanche l’attrazione o i sentimenti romantici hanno spazio
in questo loro percorso insieme (solo alla fine emergono) e ciò permette di
rendere credibile il loro odio, che non viene distratto e inquinato da altri
elementi che sarebbero stati inappropriati.
Questi due personaggi sono spietati, si odiano, si
minacciano, sono sempre sospettosi e non perdono occasione di attaccarsi. Arrivano
però a dover collaborare e quindi passeranno del tempo fianco a fianco. Questo
tempo insieme, per fortuna, non finisce per sovrastare il resto: i momenti
dedicati esclusivamente alla protagonista risultano prevalenti e c’è ampio
spazio per le interazioni con altri personaggi. La storia, quindi non si lascia
distrarre da questa collaborazione e rimane focalizzata sugli obiettivi portati
avanti dai due personaggi separatamente più che da loro due insieme. Per quanto
riguarda il rapporto di coppia, esso evolve nel tempo e richiede quasi tutta la
storia per lasciare spazio a sentimenti d’affetto (si vedono solo negli ultimi
capitoli). Proprio per questo l’autrice dimostra di saper sviluppare nel modo
più coerente e appropriato la dinamica dell’enemies
to lovers, rispettando le attese. Una rarità al giorno d’oggi.
Un rapporto che segue uno sviluppo slow burn (estremamente slow),
che intriga e che riesce a creare un’atmosfera di tensione sempre accattivante,
anche quando non sono in gioco sentimenti diversi dall’odio. Per questo motivo,
anche i fan delle storie romantiche non dovrebbero avere problemi ad essere
coinvolti dalle interazioni tra i due personaggi. Il passaggio ai sentimenti è
leggermente veloce, nel momento in cui accade, e poteva ricevere un’attenzione
maggiore, ma nel complesso rimane un rapporto che segue un andamento costante e
che rimane intrigante. Un po’ di romanticismo, quindi, c’è, ma non è l’aspetto
su cui punta questa storia.
The Jasad Heir racconta di un confine tra bene e
male per niente netto e riesce a giocare con la trama in modo da rappresentare
perfettamente questa difficoltà di distinzione tra i due. Alleati e nemici si
confondono e tutti agiscono per cause in parte ignote e in parte comprensibili.
La fiducia è sempre in bilico e in ogni momento le alleanze possono essere
messe alla prova. La storia, nel complesso, procede con lentezza, dando spazio
alle descrizioni e a tutti i dettagli che ritiene necessari, perciò potrebbe
non essere totalmente apprezzata dai lettori che amano le storie più incalzanti
e piene d’azione. Nonostante questo, la trama dà spazio a mistero, intrighi,
tensione e suspense che rendono la lettura accattivante.
Tutti i personaggi riescono a essere ben delineati, anche
quando non sono particolarmente approfonditi, contribuendo alla riuscita della
storia. Alcune scene, soprattutto verso l’ultima parte del libro, risultano
potenti e toccanti, scaricando tutta la tensione accumulata in precedenza. Io
mi sono sentita particolarmente commossa e coinvolta in alcuni punti, ma in
generale questo libro mi ha tenuto incollata alle pagine per quasi tutto il
tempo.
The Jasad Heir è un primo libro interessante e accattivante, che mette in gioco vari elementi, sviluppandoli e combinandoli in modo complesso e sapiente, risultando efficace e potente.
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